I Bronzi di Riace

I Bronzi ci guardano, ci ascoltano, comunicano 

Nuccio Schepis nasce a Reggio Calabria e si diploma al liceo artistico “ Mattia Preti“ e poi all'Accademia di Belle Arti. Dopo aver vissuto a lungo a Cortina d'Ampezzo, Milano, Roma, a contatto con diversi gruppi di artisti è tra i fondatori a Milano del gruppo dei“ Mediterranei“. Si trasferisce negli Stati Uniti dove continua la sua attività di scultore, pittore e incisore. 
Ha partecipato a numerose collettive e personali in Italia e all'estero, dove si trovano sue opere presso enti pubblici e privati. Attualmente vive e lavora a Reggio Calabria e negli Stati Uniti.

 

Mi chiamo Cosimo Giorgio Schepis, noto come Nuccio Schepis. Sono un artista e un restauratore ma, prima ancora, sono un uomo che ha avuto il privilegio e il peso di rimettere mano a due dei più grandi misteri della bellezza antica: I Bronzi di Riace. Quando arrivarono al laboratorio di Palazzo Campanella, nel 2009 erano li, due giganti stesi su lettini in legno, come se dormissero, immobili ma, c'era qualcosa nei loro volti che non lasciava riposare nemmeno noi, si, ma non come si pensa comunemente. Non bastava pulirli, proteggerli, conservarli, dovevamo capirli, entrare nella loro struttura più intima, vedere da dove venivano, cosa avevano subito e cosa ancora potevano sopportare e così iniziammo. I primi tempi erano giorni di studio e silenzi. 

C'erano momenti in cui passavo ore a osservare una sola crepa, sulla gamba di bronzo B, o una variazione della patina sulla spalla di bronzo A, eppure era proprio in quei dettagli che stavano le risposte. Ricordo come fosse ora, il giorno in cui infilai l'endoscopio dentro la testa del bronzo A. Era una manovra delicata: ogni gesto contava. La sonda passò all'interno della testa e mi avvicinai all'altezza della bocca e sul monitor comparve una piccola nube. Una polvere finissima, grigia, sospesa nel buio interno del cranio. Fu in quell'istante che accadde, una specie di soffio, un movimento d'aria, un respiro, come se, dopo duemila anni, il bronzo avesse respirato. Mi immobilizzai...era solo polvere, direte, un effetto meccanico ma, io l'ho sentito: quell'uomo antico, quel guerriero greco, aveva appena lasciato andare qualcosa, come se avesse aspettato quel momento per ricominciare a vivere. Mi si riempirono gli occhi, guardai Paola, Paola Donati, compagna di lavoro e sorella d'arte in questa impresa; Hai visto? Le dissi. Lei annuì piano * HA RESPIRATO * quel momento non lo scorderò mai. Non si può spiegare a chi non c'era. E come se quel corpo di bronzo avesse una memoria e avesse deciso, proprio in quel giorno, di ricordare. Per il resto del restauro, non fui più lo stesso. Non trattavo più statue ma, esseri. Ogni movimento delle mie mani erano un atto di rispetto. Non stavo semplicemente intervenendo su un'opera: Stavo dialogando con Essa. Il laboratorio era aperto al pubblico. Dietro un vetro, ogni giorno arrivavano, scolaresche, turisti, studiosi, guardavano noi mentre lavoravamo ma, spesso, io credo, i bronzi, come si guarda un padre, un eroe, un mito tornato a casa. Molti restavano ore in silenzio, senza dire una parola. A me bastava starmene lì, con le mani ferme e il cuore pieno. Quando il restauro fini, li accompagnammo una notte al museo. Li rimontammo, li vedemmo tornare in piedi. La loro forza non era mutata ma, ora sembravano più leggeri. Come se quella polvere che avevano dentro da secoli, fosse stata finalmente liberata. Quando torno a visitarli, lo faccio in punta di piedi. Mi capita di fermarmi davanti a loro e sorridere...loro non parlano, non si muovono ma, io li conosco...so che respirano. Cosimo Giorgio Schepis

 

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